Iniziazione alla Conoscenza di Sè
INIZIAZIONE ALLA CONOSCENZA DI SÈ
L’osservatore (capitolo 21)
Diventare consapevole di sé come osservatore è il passaggio più importante verso la conoscenza della verità del proprio essere.
Quando l’attenzione è diretta verso l’interno, invece che verso l’esterno, emergono caratteristiche particolari di sé, insospettabili fino a quel momento. Una di queste è la percezione d’essere costantemente presente come osservatore. Ti rendi conto che solamente se tu sei presente e osservi, può esserci qualcosa da osservare, conoscere, percepire. Perciò, qualunque cosa accada al corpo-mente, qualsiasi situazione lo trovi coinvolto o meno, l’osservatore è sempre presente all’evento. Per avere un’esperienza diretta di questo, puoi fare un semplice esercizio d’autopercezione. A occhi chiusi porta l’attenzione sul respiro senza alterarlo; osservalo semplicemente mentre entra attraverso le narici, nell’inspirazione, fa una piccola pausa, e poi esce nell’espirazione, seguito da un’altra pausa. Mentre il respiro continua il suo ritmo naturale, chiediti: “chi osserva il respiro?” Se la risposta è “Io”, esso, avrai notato, è un pensiero e non l’osservatore.
Dopo aver lasciato il tempo per la risposta, passa all’osservazione dei pensieri.
Guardali come se fossero nuvole che passano sul cielo interiore. Mentre osservi, ti rendi conto che c’è un momento in cui non esiste ancora un pensiero. Come il cielo limpido senza una nuvola, il tuo spazio interiore è vuoto, seppure per brevissimo tempo. Poi, dal nulla, un pensiero-nuvola vi appare e rimane finché riceve attenzione. Quando la distogli, esso ritorna nel nulla da cui è apparso, e al suo posto compare un altro pensiero che funziona allo stesso modo. Ora chiediti nuovamente: “chi ha osservato i pensieri? Dov’é colui che osserva?”.
Quando ritieni di aver avuto le risposte giuste per te, puoi ritornare ad aprire gli occhi.
In quest’esercizio, a volte si ha difficoltà a individuare l’osservatore e si pensa di avere percepito solamente il respiro e i pensieri. Se è accaduto anche a te, rifletti su questo: il fatto stesso di asserire “l’osservatore non c’era” presuppone necessariamente la presenza di qualcuno che sia in grado affermare o negare alcunché. Quindi, proprio perché presente, egli osserva. Solamente essendo un osservatore presente, si può descrivere l’esperienza qualunque sia stata e infine fare l’affermazione sulla sua presunta assenza. Inoltre, un’esperienza o l’assenza di essa, rimanda necessariamente a qualcuno che la rivendica come sua oppure la nega. Praticamente, non esiste esperienza o percezione senza qualcuno che l’osservi. Puoi non esserne consapevole, ma tu sei sempre presente come osservatore.
Un’informazione utile che emerge dalla percezione di sé è che osservare, percepire, conoscere, si riferiscono a un unico processo cui sono attribuiti convenzionalmente nomi diversi.
Quando la coscienza inizia a impersonificare il ruolo d’osservatore, esso si configura come una sorta di entità bifronte, simile a Giano della mitologia greca, con una parte è rivolta verso la personalità, l’altra verso il Sé. Il percettore, che è atemporale e aspaziale non è influenzato dallo spazio-tempo, ed é perciò indipendente da esso. Se nella mente appare il ricordo di un’esperienza passata, l’esperienza è vissuta come ‘passato’ solamente nella mente, mentre per l’osservatore essa è ora, adesso. Lo stesso avviene con le fantasie concernenti il ‘futuro’.
Comprendi quindi che come percettore sei sempre “qui e ora”, cioè vivi perennemente dove sei, nel presente. I contenuti osservati sono, invece, collegati con la dimensione mentale di spazio-tempo codificata dalla scienza classica, cioè l’idea di spazio conosciuto come “qui” e “là”, e di tempo inteso come passato e futuro, “prima” e “dopo”.
L’identificazione con l’osservatore silenzioso permette una profonda comprensione e percezione diretta del concetto di tempo che, come sai, è strettamente collegato con l’io. Quando osservi l’io all’opera, i suoi contenuti sono inerenti il passato, come ricordo di eventi e il futuro, come previsioni di eventi. Ma il passato e il futuro sono dimensioni unicamente mentali poiché solamente pensandoli possono esistere; in effetti, nel tempo mentale a due dimensioni è impossibile agire, percepire direttamente, essere consapevoli. Inoltre, anche il presente è trattato dall’io come il passato e il futuro, cioè lo elabora, lo descrive, interpone il suo commento invece di percepirlo direttamente. Perciò l’io si pone completamente fuori dal tempo reale, il presente, ora, che è invece il tempo dell’osservatore.
Mentre tu come testimone sei costante, immutato, gli oggetti osservati sono invece sempre mutevoli, variabili. A cominciare dal corpo, le emozioni e i pensieri e fino al mondo in cui il corpo-mente è inserito, tutto è in continuo cambiamento. Questo mutamento è percepito da qualcosa che non cambia, che è stabile e quindi può, appunto, testimoniare il cambiamento.
Un’altra caratteristica dell’osservatore è la sua indipendenza dai contenuti che osserva. Se per esempio il corpo è coinvolto in un’emozione negativa come la rabbia, l’emozione stessa è osservata nella sua espressione, tant’è che può essere descritta, raccontata. Ma l’osservatore non è mai coinvolto, neanche per un momento. Questo vale non solo per le emozioni negative, ma per qualunque tipo di emozione, sensazione, pensiero, immagine. Persino quando il corpo è ammalato, il suo stato è osservato ma il percettore stesso non è mai ammalato. Come affermano i saggi, ci può essere dolore, ma non sofferenza profonda, poiché il conoscitore stesso rimane sempre distaccato dall’esperienza, non n’è influenzato. Questa posizione di totale indipendenza dell’osservatore dai contenuti osservati, è molto utile per il vivere quotidiano. L’identificarsi con il sé transpersonale significa automaticamente dis-identificarsi da tutti gli oggetti osservati, compreso il corpo-mente e ciò permette l’emergere di uno stato di calma interiore, di pace, pur nel frastuono delle esperienze che si susseguono. Come osservatore ti trovi in una posizione ‘up’, come se fossi sulla cima della montagna a guardare ciò che accade nella valle; oppure, citando Lao Tse, ti senti distaccato come
colui che è nella piazza del mercato senza che la piazza sia dentro di lui.
Da questa collocazione ti rendi conto perfettamente che tutto il flusso dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni può essere osservato oggettivamente ma non alterato o controllato; ciò porta a un’accettazione dell’esperienza cosi com’è. A livello energetico passi dallo sforzo costante dell’io che vorrebbe controllare tutto, all’assenza di sforzo, alla spontaneità che viene dall’accogliere tutto così come emerge. Ti rendi conto che nel momento in cui le piccolezze dell’io sono osservate in modo distaccato senza il giudizio del super-io, esse perdono la loro carica negativa e si dissolvono o almeno mutano. In sostanza avviene un cambiamento senza sforzo, quando magari per anni l’io si è sforzato di farlo. Il più importante cambiamento percepito è il ripristino dell’amore. L’ambivalenza affettiva lascia il posto all’amore incondizionato e impersonale. Solamente ora, nel ruolo dell’osservatore, la coscienza accetta la totalità delle sue espressioni senza più condannarle, giudicarle o proiettarle all’esterno. E quest’amore inizia a estendersi anche agli oggetti osservati, compresi gli altri esseri umani.
Un’altra particolarità che emerge dall’auto osservazione è che il percettore è totalmente privo di necessità, bisogni o desideri. Non gli manca nulla, anzi è completo, totale, pur essendo in se stesso vuoto di tutto. Quando l’osservatore affiora in primo piano, la percezione di sé è di benessere, armonia, senso di pienezza. Questo avviene nello spazio fra un pensiero e l’altro, oppure quando la mente è quieta e il dialogo interno è sospeso. A posteriori ti rendi conto che tutti i problemi emergono dalla presenza ingombrante di questo fastidioso inquilino che si ritiene un’entità, e che afferra qualsiasi sensazione, emozione, immagine per catalogarla, descriverla e giudicarla. Un’infinità di convinzioni sono nutrite attraverso l’incessante dialogo interno. L’osservazione costante permette di comprendere che solamente dando attenzione ai pensieri, essi si manifestano come percezione. Ma qual è la loro provenienza?
La scoperta più interessante è che i pensieri non sono affatto formulati dall’io che li rivendica come suoi. Essi appaiono invece, già formulati sullo schermo interiore. Per esempio, al mattino appena sveglio, compaiono dei pensieri senza che ci sia una qualche intenzione, semplicemente s’impongono all’attenzione. Magari sono pensieri che non hanno nulla a che fare con ciò cui pensavi il giorno prima, oppure con le cose inerenti l’oggi. Grazie al distacco dell’osservatore ti rendi conto che non tutti i pensieri ti riguardano; spesso, infatti, ci sono pensieri che provengono da ‘fuori’, dalla coscienza collettiva e che transitano sul tuo schermo. Qualunque sia la loro provenienza, è indubbio che non sono formulati dall’io. Per comprenderlo appieno attraverso il ragionamento, può essere utile una brave analisi del pensiero-parola.
Un pensiero corrisponde a una parola formata da lettere o segni messe insieme in maniera ordinata, chiamate in linguistica significante, cui è correlato un significato, o “un’entità a due facce”, come la definisce De Saussure.
Una singola frase è dunque formata da svariate parole, ognuna delle quali comporta l’assemblaggio di altrettante coppie significante-significato. È quindi assolutamente impossibile fare tutto ciò volontariamente e consapevolmente, anche solo immaginando di pensare poche frasi! Figuriamoci per la durata di un dialogo interno di parecchie ore. Rischieremmo di trovarci nella situazione del povero millepiedi:
Il millepiedi era felice, tranquillo, Finché un rospo non disse per scherzo:
“In che ordine procedono le tue zampe?”
Questo arrovellò a tal punto la sua mente,
Che il millepiedi giacque perplesso in un fossato,
Riflettendo su come muoversi.
Ciò ti può far capire fra l’altro, come tu stia usando con grande sicurezza uno strumento complicatissimo, di cui ignori completamente, come tutti gli uomini del resto, le regole di funzionamento. E non solo queste!
Appare quindi chiaro che i pensieri sono formulati altrove e compaiono già completi sullo schermo, mentre l’io se ne attribuisce, arbitrariamente, la paternità. Dal punto di vista dell’osservatore, ti rendi conto che i pensieri hanno in sé un potere straordinario. Infatti, qualunque pensiero sia sostenuto dall’attenzione, ha la tendenza a realizzarsi, manifestarsi, fino al punto da ‘esserè ciò che pensi, ovviamente come personalità. Il potere dei pensieri è intrinseco al loro apparire diretto dalla fonte.
Qual’è dunque la sorgente dei pensieri?
Scoprirne la fonte vuole dire specificare contemporaneamente l’origine e le funzioni del dialogo interno, poiché essi sono strettamente correlati. Esaminiamo intanto il dialogo interno. La voce interiore nasce spontaneamente insieme con la nascita del linguaggio. Si tratta di un movimento nella coscienza che semplicemente s’impone sul silenzio che regnava nell’essere. Allo stesso modo, questo movimento pensiero-parola in alcune circostanze s’interrompe spontaneamente, senza che vi sia fatto nulla di proposito.
Si parla di dialogo interno anziché monologo, sia perché vi sono due parti fondamentali coinvolte, sia perché spesso ci sono delle vere e proprie discussioni interiori. Queste riguardano la relazione infrapsichica, ciòé la relazione che intercorre fra le varie parti di sé e che è propedeutica alla relazione interpersonale, cioè viene prima della relazione con gli altri e nello stesso tempo la condiziona. Infatti, se nel dialogo interno prevale un atteggiamento d’accettazione di sé, di positività, ciò permetterà di avere una buona relazione anche con gli altri; diversamente, se si ha una cattiva relazione con se stessi, a causa della proiezione, sarà riflessa sugli altri che, naturalmente, saranno colpevolizzati.
ll dialogo interno concerne l’io e serve a mantenere la sua illusione di esistere come entità, di essere un soggetto, anziché un oggetto. Senza questo, esso non potrebbe esistere né come pseudo-entità soggetto, e neanche come oggetto, poiché nel silenzio, non esiste più alcun io. Il rischio di non esistere più, esso lo corre anche quando l’attenzione è mantenuta sul momento presente. Perciò il dialogo, come sai già, concerne il passato e il futuro, cioè le dimensioni proprie dell’incantesimo in cui vive. Inoltre, come ti sarai reso conto, la voce interiore è particolarmente coercitiva. Se nutri ancora dei dubbi, puoi fare un esperimento.
Interrompi il dialogo interno, diciamo per cinque minuti. Si tratta di smettere di parlarsi interiormente e osservare che cosa succede.
Se lo hai fatto, ti sarai reso conto quanto sia difficile farlo e quanto sia costrittivo, parlarsi interiormente. Inoltre, attraverso il dialogo si rende oggettivo tutto ciò che appare nella percezione, separandolo dal soggetto presunto o reale che sia. Infine, è solo attraverso la concettualizzazione, che si crea e si conserva la percezione del mondo utile al mantenimento dello stato d’incantesimo. Infatti, quando s’interrompe il dialogo interiore, automaticamente si dissolve anche la descrizione di sé e del mondo e irrompe la percezione della Realtà.
Nel dialogo interno, come in ogni dialogo, sono coinvolte due parti. Una la si conosce, è l’io, ma l’altra, chi è? A chi parla? Chi è il suo l’interlocutore?
La risposta è meglio che venga dalla tua esperienza diretta, ricercatore.
Fermati, se vuoi, e chiediti:
“Chi ascolta questa voce?”
Dopo un po’, forse ti verrà da dire:
“Nessuno!”