Illuminazione: comprensione del processo
“Allo stesso modo in cui il vero umorismo è ridere di se stessi, il vero essere uomini è conoscere se stessi”. Alan Watts.
Qualche tempo fa è stata lanciata un’indagine sull’illuminazione cui hanno risposto numerose persone.
Dall’analisi delle risposte è scaturito un profilo del ricercatore spirituale di cui si parla nell’articolo; contemporaneamente, sono state fornite risposte alle domande poste per dare la possibilità a chi sia interessato all’argomento, di comprendere a che punto del processo di ricerca si trovi.
Quando s’intraprende una ricerca, l’esperienza degli altri è molto utile. Il nostro “fai da te” spirituale, se da una parte gratifica l’ego perché si ritiene autonomo, grande, senza bisogno di aiuto, dall’altra, lo mantiene cosi com’è o, addirittura, lo fortifica.
L’indagine sull’illuminazione ha permesso di rilevare la presenza di alcuni elementi utili a “fare un salto quantico” o, almeno un passo in avanti nella comprensione dell’agognata illuminazione.
Ma per sapere se si è no illuminati, è necessario sapere che cosa sia quest’illuminazione di cui ci riteniamo privi al momento e per la quale ci diamo cosi tanto da fare.
Occorre partire quindi dalla definizione.
Il significato etimologico del verbo illuminare è: “liberare la mente dall’ignoranza svelando il vero”.
Il verbo illuminare si riferisce a un processo, vale a dire un’azione tendente a un cambiamento da uno stato attuale o presente a uno desiderato o futuro.
Lo stato attuale della mente è indicato come ignoranza, mentre quello desiderato, come “il vero” stato. L’illuminazione è perciò un processo di liberazione dall’ignoranza della mente che prevale nello stato attuale, quindi lo svelarsi dello stato desiderato, “vero”, ossia trovare se stessi, illuminarsi, risvegliarsi.
Ciò che appare pressoché costante nella ricerca di sé, è che la maggioranza dei ricercatori porta l’attenzione unicamente al processo, inteso come l’attuazione di tecniche, discipline, tendenti a ottenere dei benefici personali e collettivi, senza occuparsi affatto né dello stato presente né di quello desiderato, né tanto meno del soggetto che cerca l’illuminazione.
Il presupposto che ci spinge alla ricerca di noi stessi, della nostra vera identità, è che cosi come siamo non andiamo bene, che ci manchi qualcosa o abbiamo qualcosa di troppo. Pertanto, bisogna che cambiamo noi stessi per diventare qualcun altro o qualcos’altro da ciò che siamo in questo preciso momento. Questo è generalmente lo stato attuale del ricercatore.
Il cambiamento o stato desiderato è associato all’illuminazione, risveglio, conoscenza di Sé, silenzio, satori, vuoto, identità suprema, moksha o liberazione, nirvana, samadhi, realizzazione, autorealizzazione e altri.
In cosa consiste il processo che collega i due stati, quello presente e quello desiderato?
Molti sono convinti che si tratti di attuare una serie d’operazioni o tecniche utili alla liberazione della mente dall’ignoranza.
Tuttavia, se si avviasse il processo esaminando e mettendo in atto una qualche tecnica, sarebbe trascurato un elemento preliminare del processo stesso: l’indagine sul soggetto. Si tratta di esaminare innanzi tutto, chi sia colui che vuole liberare la propria mente dall’ignoranza per svelare “il vero” e “trovare” se stesso.
E’ utile sapere che la stragrande maggioranza dei ricercatori spirituali trascura completamente oppure procrastina l’indagine diretta sul soggetto, su colui che pratica per “ottenere” l’illuminazione. Il loro interesse riguarda, appunto, la possibilità di “guadagnare” qualcosa, che può essere la pace, la calma, la gioia, oppure esperienze straordinarie, contatti con esseri particolari ecc.
La realizzazione dello stato desiderato presuppone l’esistenza di un soggetto che cerca e di un oggetto che è, appunto, cercato. Il soggetto è l’io “qua dentro”, mentre l’oggetto è qualcosa “là fuori” da qualche parte o in un altro stato. Nel caso della ricerca di sé, il soggetto è l’io, il ricercatore, e l’oggetto è l’illuminazione.
Lo schema di pensiero: soggetto qua dentro – oggetto là fuori, illustra il nostro modo comune di rappresentarci la percezione di qualsiasi cosa.
Si tratti della percezione di un tramonto, di un esperimento scientifico, di un’opera d’arte, di noi stessi, lo schema rimane costante.
Pertanto anche il soggetto “ricercatore spirituale” usa lo stesso schema e quindi cerca il suo oggetto, l’illuminazione, in qualche luogo, oppure in uno stato interiore e in un tempo, non ben identificati.
Ciò che avviene comunemente nella conoscenza è un processo di distinzione, di separazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto, processo nel quale il soggetto stesso non è affatto esaminato. Si dà per scontato che esista senza tuttavia indagare chi e come sia.
Il fisico Schroedinger afferma a questo proposito:
“Noi nell’oggettivare il mondo ne allontaniamo senza accorgerci il soggetto conoscente e…siamo poco disposti a renderci conto di questa circostanza”.
Anche nelle pratiche spirituali troviamo la stessa dualità soggetto conoscente–oggetto conoscibile. Per esempio diciamo: <<io faccio yoga>>, oppure <<io faccio meditazione>> con l’intento di ottenere, nell’attesa della grande illuminazione, qualcosa tipo calma, silenzio, pace. In questi casi il soggetto io fa qualcosa, un’azione tendente al raggiungimento di un obiettivo o un oggetto, quale la pace o la calma.
In questo processo ci sono due presupposti nascosti, espressi sotto forma di convinzioni limitanti e precisamente:
Il primo presupposto è la convinzione che ci sia un io, un soggetto che faccia qualche cosa. Esso è dato per scontato come esistente nonostante s’ignori chi sia, come sia, o dove abiti. Si è tuttavia convinti che si trovi da qualche parte all’interno del corpo. Il suo indirizzo preciso però, manca; forse abita nella testa, oppure nel cuore, o nel plesso solare, o…
Il secondo presupposto nascosto è la convinzione che la calma o il silenzio siano stati che non si trovino nello stesso luogo dell’io, bensì da qualche altra parte, quindi in un luogo o stato diverso da quello in cui il ricercatore si trova nel momento.
Insieme con la convinzione riguardante lo spazio, il luogo – stato che si vuol raggiungere, né appare sottesa un’altra riferita al tempo: la credenza che la calma o il silenzio si trovi in un tempo diverso dall’adesso, cioè in un tempo futuro. Pertanto, questo comporta l’azione di cercarli con qualche mezzo (la pratica specifica) che permetterà di trovare l’oggetto desiderato in un tempo futuro sebbene imprecisato.
Nella tradizione spirituale, la dualità soggetto percepente–oggetto percepito è considerata un elemento caratteristico dell’ignoranza della verità o non illuminazione. Com’è già stato evidenziato, qualunque pratica o disciplina s’intraprenda per la ricerca di sé, essa implica necessariamente un soggetto che faccia qualche cosa. Perciò, prima o poi si arriva inevitabilmente al punto di svolta: la ricerca del soggetto, di colui che vuole ottenere qualcosa.
Ramana Maharshi, il noto saggio indiano, usa una divertente metafora per indicare il tentativo di usare pratiche diverse dalla ricerca diretta del Sé:
“E’ come un ladro che si fa poliziotto per catturare il ladro che è lui stesso”.
A questo punto appare chiaro che non si può procedere oltre. Nel processo d’illuminazione diventa necessario indagare chi sia questo soggetto, questo io che ne è alla ricerca, vuole raggiungerla, realizzarla, ottenerla.
Ebbene, se fai la tua esperienza diretta, ti rendi conto che per quanto si possa cercare il soggetto, il nostro “mister io” non si trova da nessuna parte poiché:
IL SOGGETTO NON ESISTE COME “ENTITA” PERCEPIBILE
In sostanza, qualsiasi cosa si possa percepire sarà sempre un oggetto, una cosa, non il soggetto che percepisce. Egli, nella percezione, non appare mai. Sarà andato in vacanza lasciando al suo posto un fantasma!
Chiunque, come te, intraprenda l’indagine per cercare l’io, arriva allo stesso risultato: non esiste alcuna entità separata o io, alcun soggetto individuale. Infatti, come saggiamente istruiva Ramana:
“Cercalo, e l’ego scompare.”
Questo è a dir poco sorprendente! Andando alla ricerca di sé si pensava di trovare qualcosa, di diventare “migliori” e invece, si arriva addirittura a perdersi. Niente più io!
Che cosa è accaduto? Si è partiti dall’idea che esista una situazione consolidata consistente in un soggetto che percepisce da una parte e gli oggetti che sono percepiti dall’altra, e si è arrivati a perdere una delle parti interessate. La più importante, per di più! Tutto questo può essere sconcertante!
A questo punto ti viene fatta una domanda:
<<Ti sei mai chiesto da dove ti viene la convinzione di essere un soggetto individuale, un io? In sostanza, come ci sei pervenuto?>>
Indagando, ti renderai conto che questo è il quesito più importante cui trovare risposta per fare “il salto quantico”.
Se avrai voglia di esplorare, potrebbe accadere che la comprensione arrivi.
Intanto, qui di seguito trovi le risposte date dall’autrice alle domande poste nell’indagine, basate sull’esperienza diretta e sulla comprensione- percezione avvenuta grazie agli insegnamenti dei maestri dell’Advaita che ha seguito: Nisargadatta Maharaj, Ramana Maharshi e il suo diretto maestro Ramesh Balsekar.
1) Che cos’è per te l’illuminazione?
L’illuminazione, Risveglio, Satori, Realizzazione, ecc, sono termini diversi per indicare lo stato di comprensione- percezione del nostro Essere. Questo stato non può essere raggiunto, realizzato, trasmesso, può solo avvenire spontaneamente quando il presunto soggetto comprende la sua non esistenza come entità individuale separata, dotata di volontà e libera scelta.
La ricerca, infatti, inizia dall’individuo, dall’io che ritiene di ottenere benefici dallo stato d’illuminazione quali: pace, gioia,serenità, amore, calma, conoscenza ecc, e finisce quando appare evidente che non c’è alcun individuo che si possa illuminare, nessun io che possa raggiungere un qualche stato elevato, perfetto, completo. Perché?
Perché l’individuo che ci si ritiene d’essere, l’io, l’ego o corpo mente, è solamente un oggetto attraverso cui la Coscienza, l’Essere, la Presenza, si manifesta in questa 3D. Come potrebbe quindi un oggetto “illuminarsi”?
D’altra parte, la Coscienza, essendo tutto quello che è, non ha alcun bisogno d’illuminarsi o risvegliarsi. Essa è sempre sveglia, sempre presente, consapevole di sé e degli oggetti che su di essa compaiono di volta in volta, compreso il corpo-mente che crediamo d’essere.
2) Come sai d’essere o non essere illuminata /o, realizzata /o?
L’illuminazione non è uno stato dell’individuo, bensì un processo impersonale in cui l’individuo come tale è dissolto. Perciò, finché si ritiene d’essere un individuo- specie uno che si considera “illuminato”- non ci può essere realizzazione.
3) Che cosa pensi sia necessario fare per ottenerla, nel caso tu non fossi illuminata /o?
La quasi maggioranza delle vie spirituali prescrive infinite pratiche che avrebbero come obiettivo quello d’”illuminare” l’individuo che le attua. Di fatto, le pratiche, non possono in alcun modo portare all’obiettivo, poiché la Coscienza che siamo non ha alcun bisogno d’illuminarsi. E’ la mente, l’io, piuttosto, che ha bisogno di fare, sforzarsi, ottenere, ecc., poiché la mente funziona in questo modo.
Ma l’attività della mente non ha nulla a che fare con l’illuminazione poiché la mente è il contenuto della Coscienza, uno strumento attraverso cui la Coscienza tesse i suoi giochi. Possiamo paragonare la mente alle immagini che si vedono sullo schermo del televisore, immagini che cambiano continuamente. Ciò che è, invece, stabile, è lo schermo. Questo è la Coscienza su cui e da cui appaiono e in cui si dissolvono le varie immagini.
L’unica cosa utile rispetto all’illuminazione è la comprensione spontanea. La comprensione che non c’è nessun individuo che possa illuminarsi, nessuno che possa comprendere, ma che la comprensione stessa avviene da sé. Qualsiasi sforzo o volizione è inutile rispetto all’illuminazione, anzi, semmai controproducente poiché rafforza l’ego.
4) Come pensi che avverrà precisamente l’illuminazione?
Qualsiasi pensiero si abbia in merito, è frutto della mente che peraltro non può conoscere Ciò da cui essa è nata e di cui è lo strumento di espressione. E’ come se il frigorifero potesse conoscere e capire l’elettricità che lo fa funzionare.
Non esiste nessun “esperienza” che possa definirsi d’illuminazione poiché si tratta di un processo di cui si conoscono più o meno l’inizio e lo stato attuale, ma non la sua fine.
Quando il processo arriva spontaneamente alla fine, si riconosce lo stato poiché era già presente nell’infanzia. E’ semplicemente lo stato naturale, chiaro, luminoso dell’Essere che siamo. E’ uno stato impersonale, senza la presenza dell’ingombrante ego, quindi senza le sue sofferenze o gioie. Ciò non significa che non vi saranno più eventi, emozioni, ecc., solamente non verranno “ prese in consegna” e amplificate dall’io visto che è scomparso come entità separata.
La gioia che appare è indipendente dalla situazione del corpo-mente, è lo stato sempre presente, cosi come lo sono la pace e l’amore. Di fatto tra di essi non vi è nessuna distinzione.
5) Ritieni necessaria la presenza e l’aiuto di un maestro?
Il maestro è necessario per aiutare a ripulire la mente dalle convinzioni limitanti che l’hanno imprigionata nell’idea che vi sia un individuo autonomo, indipendente, capace di volizione, di azione, ecc, simile a una goccia d’acqua nell’oceano che crede d’essere separata e indipendente dalla massa d’acqua da cui è nata, in cui vive, cui torna subito dopo e che, in realtà, è essa stessa l’oceano.
Lo stesso insegnamento del cerchio Firenze 77. Che Bello!!!
Me la sono riletta. Questa lettura l’ho trovato meravigliosa (illuminate)!