Iniziazione alla Conoscenza di Sé, l’illuminazione svelata
Il vero soggetto
Capitolo 20
Nel momento stesso in cui il ricercatore si convince pienamente di non essere la pseudo-entità io, un semplice riflesso, bensì la coscienza, è già fuori dall’incantesimo. Peraltro, pervenire a questa convinzione, non è appannaggio solo del ricercatore di sé, ma di chiunque indaghi con mente aperta in qualsiasi settore del sapere. Ecco per esempio la conclusione cui è giunto il medico Lewis Thomas riportata da Briggs e Peat nell’Universo oltre lo specchio:
“Si può fare un buon esempio per la nostra non esistenza come entità. Noi non siamo costituiti, così come abbiamo sempre supposto, da pacchetti arricchiti per gradi delle nostre stesse parti. Noi siamo condivisi, affittati, occupati. All’interno delle nostre cellule, guidandole, fornendo loro l’energia ossidante che ci spinge fuori per godere di una bella giornata di sole, ci sono i mitocondri…A loro volta essi sono piccole creature separate, la posterità coloniale dei…probabili batteri primigeni che nuotarono nei precursori ancestrali delle nostre…cellule e stavano lì…con il loro DNA e RNA piuttosto differenti dai nostri…I miei cetrioli, i corpi fondamentali e probabilmente un buon numero di altri più oscuri piccoli esseri che lavorano all’interno delle mie cellule, ognuno con il suo speciale genoma, sono tanto estranei e tanto essenziali, quanto gli afidi nei formicai. Le mie cellule non sono più entità derivate in linea diretta con le quali io sono cresciuto; sono ecosistemi più complessi della Baia di Giamaica.”
Avendo mantenuto per molto tempo la credenza di essere un soggetto, sebbene uno illusorio, è arrivato il momento di esaminare più da vicino che cosa s’intende con l’essere il vero soggetto, la coscienza. Come approccio immediato ti si propone ancora una volta una storia, nella convinzione che queste, cosi come le favole e le parabole, fungano da vie privilegiate d’accesso a una percezione diretta anziché mediata della realtà. Assomigliano a scorciatoie in grado di portare direttamente nel cuore, nella sostanza del reale, evitando le vie impervie dei ragionamenti.
Nell’aria immobile del crepuscolo, il sant’uomo si sistemò sotto un albero, vicino alla gran roccia, nei pressi del sentiero, ai margini della montagna. Avrebbe trascorso lì la notte, con una pietra per cuscino. Tanto tempo fa, aveva abbandonato il mondo per trovare se stesso. Insieme con il mondo, aveva abbandonato anche idee come successo, denaro, popolarità. Ormai possedeva ben poche cose e soprattutto, poche idee. D’altronde, deteneva già tutto ciò di cui aveva bisogno e le sue necessità, in realtà, erano poche.
La sua meditazione serale fu disturbata dalle grida di un uomo che gli si avvicinò di corsa, tutto agitato.
<<Sei tu, sono sicuro che sei tu l’uomo che cerco! – esclamò. Una notte, tanto tempo fa, ho fatto un sogno, in cui mi si diceva di venire sotto quest’albero, vicino alla gran roccia, nei pressi del sentiero, ai piedi della montagna. Qui, un sant’uomo mi avrebbe dato una pietra inestimabile, che mi avrebbe reso ricco per sempre!>>
<<Ti ho cercato per tanto tempo – aggiunse. Non sai quanto ti ho cercato! E ora eccomi qui. Ti ho trovato finalmente>> -disse tutto contento.
<<Forse è questo il gioiello che hai sognato – disse il sant’uomo frugando nella sacca dalla quale estrasse una pietra scintillante. – L’ho trovato sul sentiero: prendilo pure!>>
L’uomo restò con la bocca spalancata per la sorpresa, mentre gli occhi gli si allargarono di piacere. Non aveva mai visto un diamante così grosso, né aveva mai sognato che potessero essercene di tali dimensioni. Mentre se lo portava a casa, sprizzava gioia e soddisfazione da tutti i pori; quella ricerca non era stata vana. La gioia, però, non durò a lungo e prima che calasse la notte cominciò a sentirsi profondamente turbato. Si girò e si rigirò nel letto tutta la notte, senza riuscire a prendere sonno: cercò di immaginare ciò che avrebbe fatto con tanta ricchezza, come se la sarebbe goduta e soprattutto come sarebbe cambiata la sua vita. Ma non riusciva a togliersi dalla mente il sant’uomo che, con tanta semplicità gli aveva donato quel diamante d’inestimabile valore.
Prima dello spuntar dell’alba l’uomo si alzò e tornò all’albero vicino alla grande roccia, nei pressi del sentiero, ai piedi della montagna. Disturbando la meditazione mattutina del sant’uomo, posò il diamante davanti a lui e disse: <<Questa pietra è di grandissimo valore e io ho desiderato tanto possederla; ma ora capisco che non è nulla in confronto al tesoro interiore che possiedi tu e che ha fatto sì che me la donassi con tanta semplicità. Pensi che potrei trovarlo anch’io?>>
<<E’ già tuo>>, rispose sorridendo il sant’uomo.
Questa storia ti permette di comprendere bene la differenza fra l’identificazione con l’io, la personalità, oppure con la coscienza. La maggior parte della vita è utilizzata per costruire una “forte personalità” che può portare al successo e alla felicità. Anche le professioni d’aiuto lavorano per “rinforzare” l’io, o per costruirne uno forte. Persino nella ricerca di sé alcune discipline tendono a fortificarlo anziché rivelarne la natura illusoria.
Difatti, alcuni ricercatori sono convinti che ci siano “personalità” illuminate e che ciò comporti l’ammassare numerose informazioni, capacità particolari, oppure dei poteri o siddhi da esibire come espressione di sapere e potere o addirittura, d’illuminazione. Manca la comprensione che qualunque disciplina sia praticata dall’ “individuo”, può solo rinforzare l’identificazione con la pseudo-entità, e che la percezione della verità del proprio essere continuerà perciò, a rimanere celata.
Verosimilmente, costoro s’accontentano della pietra scintillante e dei benefici che ne ricavano come personalità e non si chiedono affatto quale ne sia la provenienza, quale sia, in effetti, la vera fonte da cui derivano tutte le conoscenze e i poteri manifestati.
L’indagine sulla coscienza e l’identificazione con essa, ti permette di scoprire finalmente chi è realmente colui che sa e che può, questo te stesso di cui sei alla ricerca, il vero soggetto.
Per arrivare a comprenderlo, è utile riprendere la ricerca <<Chi sono io?>> iniziata nel capitolo 8° e portarla più avanti esplorandone altri aspetti.
Quando ci si pone la domanda <<Chi sono io?>>, alcuni si aspettano di ricevere risposte “concrete”. Difatti, qualcuno asserisce di vedere certe immagini, o sentire voci, oppure provare sensazioni particolari. Il tipo di risposta cui allude, è collegata col proprio sistema rappresentazionale prevalente, di cui si è già parlato e da cui discende la diversità delle risposte. Analizziamone quindi qualcuna.
Supponiamo che il ricercatore veda delle immagini concernenti forme astratte o concrete. Tali immagini possono apparire spontaneamente, oppure può essere il ricercatore a selezionarle e mantenerle sullo schermo interiore. Indipendentemente dall’immagine che appare, c’è qualcuno che la vede. Ma chi vede? E dov’è il vedente?
Se in risposta alla domanda <<Chi sono io?>> compaiono dei suoni o delle voci di persone o entità, oppure delle sensazioni straordinarie e insolite, siano esse positive o negative, rimane sempre in sospeso la questione di chi le percepisce. E’ particolarmente importante la comprensione di questo processo. Molti si fermano a questo punto della ricerca di sé illudendosi d’aver “raggiunto” l’illuminazione che consisterebbe, secondo loro, nel vedere scenari straordinari, maestri invisibili, oppure udire o sentire cose particolari. L’idea più diffusa è quella d’avere esperienze spirituali come indice di illuminazione “realizzata”.
C’è soltanto una coscienza – afferma Ramana – che manifestandosi come il pensiero “io” s’identifica con il corpo, proietta se stessa attraverso gli occhi e vede gli oggetti attorno. L’individuo è limitato nello stato di veglia e si aspetta di vedere qualcosa di differente.
Per quanto concerne i maestri o saggi, essi evitano i poteri paranormali o siddhi, poiché sanno perfettamente che dietro l’uso intenzionale di tali poteri c’è sempre l’io che tenta di estendere il suo illusorio potere per manipolare e controllare l’ambiente e gli altri io. Il loro atteggiamento nei confronti di queste manifestazioni, assomiglia a questo della storia Zen.
Un giorno, un discepolo si avvicinò al maestro con aria rapita e gli disse: <<Maestro, mentre ero assorto in profonda meditazione, ho visto una luce sfolgorante che usciva dalla sommità del mio capo e che, scendendo, mi avvolgeva interamente>>.
Abbozzando un sorriso, il maestro replicò: <<Abbi pazienza, anche questo passerà!>>.
Chi è dunque questo soggetto reale che vede, sente, ode, percepisce, insomma? Se non è il corpo che muta costantemente e neppure la mente con i suoi molteplici aspetti in continuo cambiamento, che cosa in te procura la sensazione d’essere un centro cui fanno riferimento tutte le esperienze?
Che cosa, insomma, crea questa percezione d’essere lo stesso identico essere, nonostante i continui mutamenti del corpo-mente?
Quando ti osservi, quando osservi questi continui mutamenti…ma è proprio questo ciò che sei: l’osservatore. Ciò che ti dà la sensazione d’essere un soggetto, è proprio la parte di te che osserva costantemente.
In questa fase di ricerca di sé, la coscienza recita il ruolo di osservatore o testimone. Se ricordi, nel capitolo 12° è stato detto che per mettere in atto l’incantesimo, la coscienza passa attraverso cinque fasi: l’essere inconsapevole di esistere, consapevolezza di esistere, osservazione impersonale, impersonificazione, identificazione.
Ebbene, anche nel processo d’uscita dall’incantesimo si ripresentano le stesse fasi, ovviamente al contrario. Questa è la fase in cui la coscienza impersonifica il ruolo dell’osservatore o percettore. Attenzione però, a non confondere l’osservatore silenzioso con il “giudice” interno; quest’ultimo, è solamente una componente della personalità chiamata in psicologia “super-io”. Si tratta di una parte modellata dalle norme e divieti ricevuti dall’educazione sia famigliare sia sociale. Il super-io critica, giudica, parla insomma, mentre l’osservatore è per sua natura, silenzioso. Esso è il vero soggetto, a differenza dell’io che è solamente uno pseudo-soggetto.
Ritornando alla domanda <<Chi sono io?>>, a questo punto appare chiaro che la risposta è: <<l’osservatore>>. Quest’affermazione però, non è fatta dall’osservatore stesso poiché silenzioso; è la voce interiore che commenta e descrive ciò che appare nella percezione. L’osservatore è anche chiamato il sé transpersonale o trascendente, il testimone, il padrone di casa ecc. e riguarda quella parte di te, quel centro silenzioso e distaccato dal corpo con le sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, eppur sempre presente.
Come soggetto quindi, tu sei la coscienza-osservatore che testimonia se stessa nell’espressione. La fase dell’identificazione con l’osservatore, è di grande interesse per chi vuole trovare se stesso; ciò diventa particolarmente evidente quando si conoscono le caratteristiche dell’osservatore di cui si discorrerà nel prossimo capitolo.