Ricerca spirituale e rapporto col maestro
Durante la ricerca, può sorgere il desiderio o la necessità di trovare qualcuno, una guida, un maestro che possa darci un aiuto per “progredire”.
E utile sapere che, insieme con il desiderio di trovare un maestro, nascono anche molte aspettative nei suoi confronti, cosi come diversi meccanismi autosabotanti. E, come dice il proverbio:
“Uomo avvisato … è mezzo salvato”!
Il maestro è spesso considerato un salvatore, una specie di “guaritore divino”, qualcuno in grado di “liberare” l’io ricercatore dalla sofferenza, di “risvegliarlo” alla Realtà, o di illuminarlo circa la Verità.
Senza rendersi conto, l’io si crea un proprio modello di maestro. Quando poi ne incontra uno, mette in atto, inconsapevolmente, diversi meccanismi di “difesa” tra cui quello della proiezione.
In psicologia, la proiezione o transfert è un meccanismo che comporta lo spostamento di sensazioni, emozioni e pensieri nati nella relazione coi propri genitori, su una persona per noi importante o su chi occupa un ruolo simil-genitoriale. Chi dunque meglio del maestro, può essere il “beneficiario” del transfert?
Esaminiamone il funzionamento.
Considerandosi un’entità individuale, un soggetto che pensa e che fa, che si assume quindi la paternità delle azioni, l’io ricercatore considera anche il maestro alla stessa stregua. Gli si rivolge come se si trattasse di un’altra entità individuale separata e distinta da lui, un altro soggetto, sebbene con qualche cosa in più nella testa o nel cuore, che fa di lui una persona illuminata, ma pur sempre una persona e per di più situata in posizione ‘up’ rispetto a lui, proprio come avveniva con i propri genitori.
E’ ovvio che:
“Identificandoti con il corpo fai sì che identifichi erroneamente anche gli altri con i loro corpi.”
come afferma il Guru dei guru indiani, Ramana Maharshi.
L’io ricercatore si aspetta di ricevere dal maestro una conoscenza o esperienza, oppure la prescrizione di una pratica “magica”, che lo metta in grado di pervenire all’agognata illuminazione (sulla quale si fa numerose fantasie).
Paradossalmente però, pur non considerandosi illuminato, l’io pretende di sapere esattamente ciò di cui avrebbe bisogno per esserlo; vorrebbe quindi che il maestro dicesse o facesse, praticamente, tutto ciò che rientra nelle sue aspettative e fantasie.
In sostanza, l’io ricercatore vorrebbe perpetuare la sua idea di essere un’entità separata, un soggetto, mantenendolo ben “oliato”e in “buona salute”. E se il maestro non recita bene la parte che l’allievo gli ha assegnato, è declassificato, abbandonato e rimpiazzato temporaneamente con un altro maestro e cosi via.
E’ di fondamentale importanza per il ricercatore spirituale, arrivare a comprendere che l’ostacolo più grande nel processo d’illuminazione è l’attaccamento alle proprie convinzioni, soprattutto quelle limitanti su cui poggia l’io. Perciò, come giustamente afferma Irina Tweedie:
“La vita spirituale consiste nel fare a pezzi ogni sicurezza. Perché soltanto allora si può raggiungere l’Ultima Sicurezza“.
Ma le convinzioni, si sa, sono difficili da abbandonare: c’è bisogno di gradualità. Infatti, i maestri danno l’insegnamento secondo lo stato di evoluzione, il temperamento e i condizionamenti dell’allievo.
Tuttavia, nonostante la maggioranza dei maestri indichi qual è il loro ruolo reale, l’io ricercatore è così imprigionato nel suo incantesimo, da non afferrarlo per niente, anzi, arriva spesso a travisarlo. Il transfert nei confronti del maestro è spesso molto coinvolgente, fino al punto di diventare ridicolmente drammatico.
Infatti, nei suoi confronti emergono le emozioni più travolgenti e repentine. In un attimo, lo si può amare follemente e l’attimo dopo lo si può odiare profondamente o se ne può aver paura e perfino terrore. Per non parlare delle sofferenze nate dalle “rivalità” con gli altri allievi-figli, o delle alleanze fra discepoli e “contro” il maestro, ecc, ecc. La speranza e la delusione si alternano, così come la gioia e il dolore.
Inoltre, da una parte il ricercatore considera il maestro una “persona” come lui, dall’altra, invece, pretende che lui/lei viva di “puro spirito”, che non sia quindi coinvolto col denaro, quasi vivesse su un altro pianeta dove il sostentamento è assicurato da altri, che non abbia una vita di famiglia, che sia “perfetto” ( dal suo punto di vista) cioè non abbia nessuna emozione negativa, che sia sempre in perfetta salute e, naturalmente, sempre a sua disposizione. Anche il bambino piccolo aveva le stesse aspettative nei confronti dei genitori, specie della madre!
Una delle questioni che emergono nel rapporto col maestro, è quella della “prova della Verità”. Soprattutto gli intellettuali esigono la Verità, intesa come il fattore costante che permane eternamente, quindi non sia suscettibile di alcun cambiamento.
Questa prova è tuttavia un bel rompicapo, poiché la persona non è in grado di specificare esattamente che tipo di Verità vorrebbe per sentirsi soddisfatta; ciò, perché qualsiasi prova sarebbe soggetta allo spazio-tempo e la Verità, per essere tale bisogna, invece, che sia al di là di esso.
La richiesta della prova assomiglia a quella di un non vedente che chiedesse: “Provami che ci sono colori, soltanto allora crederò alle tue belle descrizioni dell’arcobaleno”.
Chi fa richieste del genere ha difficoltà a riconoscere che:
“Non si può ‘acquistare’ la verità, come fosse qualcosa certificato e bollato con competenza come “Verità”,
come asserisce Nisargadatta Maharaj. Ovviamente chi chiede tale prova, essendo immerso nell’incantesimo, non si rende conto che la domanda stessa presuppone l’esistenza reale di un soggetto (che si ritiene sia l’io) e quindi la possibilità di conoscere un oggetto intellettualmente percepibile, la Verità, appunto.
Entrambi i presupposti sono però illusori. Il primo, riguardante l’io come soggetto conoscente, è già stato in parte esaminato (vedi l’articolo “JoyNet e l’illuminazione: alla ricerca del soggetto”). Il secondo, relativo all’oggetto conoscibile, la Verità, è un non senso. Infatti, se la Verità fosse un oggetto, sarebbe sottoposta alle leggi dello spazio-tempo, quindi non sarebbe la Verità, semmai un suo surrogato, oppure solamente una verità parziale.
La Verità, quindi, non può essere descritta; può solo essere indicata, ma non compiutamente espressa in parole perché è inerente lo stato precedente le parole. Essa, però, può essere intuita e vissuta. Siamo noi stessi la Verità che cerchiamo. Lo siamo in qualità di Essere-Coscienza. L’affermazione di Gesù:
“Io sono la Via, la Verità, la Vita,”
é un esempio di testimonianza diretta di un maestro.
Ciononostante, l’io ricercatore è spesso assalito dai dubbi e perciò continua a cercare soluzioni all’esterno. Si risparmierebbe sofferenze se capisse che un rimedio efficace sarebbe scoprire: “a chi è venuto il dubbio?” La risposta sarebbe, naturalmente: “a me ” cioè all’io. E l’io, quando è cercato, si comprende che in realtà é uno pseudo-soggetto, un illusione e quindi non esiste.
Potemmo dire con J. Krishnamurti:
“Quanto bramiamo di risolvere i nostri problemi! Con quale insistenza cerchiamo una risposta, una via d’uscita, un rimedio! Non consideriamo mai il problema in se stesso, cerchiamo solo, in preda all’agitazione e all’ansia, una risposta. ..Cercare una risposta vuol dire evitare il problema, proprio quel che la maggior parte di noi desidera fare…La soluzione non è separata dal problema; la risposta è nel problema (perché, come il problema, esiste ora), non lontano da esso”.
Chi vuole la Verità senza mettere tutto in gioco, senza pensare per conto proprio, è come colui che vorrebbe conoscere le correnti di un fiume senza immergersi nella sua acqua.
La “prova della Verità” che l’io cerca affannosamente, coinvolge anche l’autenticità o meno del maestro, oppure il suo “grado” di illuminazione. La situazione in cui si trova l’io é alquanto comica: da una parte ritiene di non essere illuminato, dall’altra pretende di capire se un altro lo sia. Ed è proprio qui il massimo della comicità: l’illuminazione non è un raggiungimento, non è una laurea che qualcuno ci conferisce, bensì il riconoscimento e la percezione del nostro naturale stato di Essere, sempre presente.
Uno fra i tanti meccanismi autosabotanti che il ricercatore incontra, senza riconoscerlo come tale, è la pretesa di giudicare il maestro sulla base dei comportamenti che crede di osservare (guardare non significa necessariamente vedere). Infatti il transfert, essendo una proiezione, impedisce alla persona di rendersi conto di stare proiettando il suo modello personale e le sue limitazioni sul maestro e sopratutto, di essere coinvolto nel trasfert. Inoltre, come asseriscono i Sufi:
“I maestri non hanno un comportamento uniforme. Uno mangia e dorme bene, un altro digiuna e veglia tutta la notte; uno può passare il tempo con la gente, un altro può tenersi in disparte; uno è vestito di stracci, un altro di seta e di biancheria fine; uno è silenzioso, un altro ancora parla animatamente; uno nasconde la sua santità, un altro la rivela agli occhi di tutti; uno servirà tutti gli esseri umani, che siano devoti o corrotti, mentre un altro si rifiuterà di frequentare il male….”
Il fatto è che, anche se si crede d’aver trovato un maestro, egli non è riconosciuto e accettato pienamente fin quasi alla fine della ricerca; il transfert nei suoi confronti è ambivalente e le proiezioni, positive o negative, impediscono la percezione del suo stato reale.
Egli, essendo la Coscienza impersonale disidentificata dall’illusoria entità, l’io, è simile a uno specchio che riflette l’immagine esattamente com’è, senza essere influenzato dal riflesso. Infine, grazie alla sua presenza, i veli che ostruiscono ancora la percezione di Sé possono dissolversi, sempre che ciò rientri nel copione del discepolo. In ogni caso, nessun maestro potrà mai “dare” l’illuminazione. Chi e come potrebbe darci Ciò che siamo già?
Solo quando avviene l’illuminazione, ossia la comprensione-percezione, si capisce finalmente il mistero che l’avvolge. Spesso, viene da ridere di noi stessi, della nostra ottusità, delle nostre follie, poichè lo stato “illuminato”, lo conosciamo benissimo: é sempre presente. Ti ricordi che da bambino era il tuo stato “normale”, perciò chi te lo potrebbe dare, che pratiche avresti da fare per averlo, conseguirlo, realizzarlo?
Ritornando alla “prova della Verità”, questa è solamente un appiglio del ricercatore per procrastinare la comprensione della sua natura. Infatti, se si chiedesse: “come so che qualcosa è vero?” e analizzasse il processo, si renderebbe conto del problema reale.
La verità o falsità di qualsiasi cosa, implica per la persona la messa in moto di un processo decisionale.Questo sembra comportare una successione razionale di raccolta di dati circa il fatto in questione.
Ma come sa la persona quali informazioni sono veramente importanti? E quando sa d’essersi informata a sufficienza? E’, forse, l’informazione stessa a dirlo?
Le cose, però, accadono in modo un po’ diverso da come si pensa comunemente. La persona si mette in moto per documentarsi in modo razionale per discernere la verità dalla falsità; poi, un po’ per stanchezza, un po’ perché è arrivata l’ora di decidere, dà credito all’intuito.
Ma l’intuito proviene da una fonte che non è affatto razionale e che non è certamente l’io. In sostanza, la decisione sulla verità è presa altrove, al livello della Verità universale e arriva già bella e pronta all’io, che crede, invece, di esserne l’autore!
La caratteristica comune a tutti i maestri è di guidare il discepolo a comprendere che:
“Il Maestro è dentro; la meditazione è intesa a rimuovere l’idea ignorante che egli sia solo esterno… Ma finché pensate di essere separati o di essere il corpo, fino ad allora sarà necessario anche il Maestro esterno, che apparirà come se avesse un corpo. Quando cessa l’errata identificazione con il corpo, si comprende che il Maestro non è altro che il Sé.”
Questo è l’insegnamento del grande Maestro che fu e che è tutt’ora Ramana.
Forse quest’ultima affermazione può averti lasciato perplesso. Come molti altri, potresti avere difficoltà a pensare che un maestro possa ancora esercitare il suo ruolo anche se non è più nella forma fisica.
La comprensione di questo fatto, può venirti nel momento in cui avviene l’illuminazione-comprensione, perciò potresti forse avere ancora bisogno di un po’ di tempo, oppure può accadere proprio Ora, se capisci che il Maestro reale è interiore, quindi, molto vicino a …te.
Le parole dello stesso Ramana lo chiariscono ancor meglio:
“Dicono che sto morendo, ma non me ne sto andando. Dove potrei andare? Sono qui”.
La grazia del Maestro è sempre disponibile ed è come l’oceano. Sta a te attingerne una tazza o un secchio, oppure…
L’oceano, come sai, è vasto, inesauribile e generoso.
Tratto dal libro:
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